Festival della mezza morte

Sono le sette di sera di una domenica di metà luglio duemilanove. La luce del quartiere Quadraro mi annichilisce. Sembra davvero di stare in un sogno confuso di Michelangelo Antonioni da vecchio, con le strade deserte, una lunga e minacciosa nuvola di fumo nerissimo sopra le nostre teste, a quanto pare uno sfaciacarrozze sull’Appia andato a fuoco, con gli aerei e i gabbiani che ci si conficcano dentro, le mura del vecchio acquedotto Felice alle nostre spalle, gli svincoli della Tuscolana che fanno capolino dietro le architetture popolari corrose dallo smog, antenne e magazzini, minuscoli bar avvitati agli angoli opposti degli opposti isolati. Il concerto è abusivissimo, non ci sono biglietti, non ci sono commissioni della Siae, la casa e quelle attorno sembrano abusive anch’esse, i vicini di casa affacciati alle finestre hanno certe espressioni alla Lando Fiorini, e potrebbero prorompere in qualche “mortacci vostri” da un momento all’altro. Capita ogni tanto che lo scarso rispetto delle regole possa generare bellezza. Poi la musica elettronico-concettuale si è sparsa nell’aria come un virus della tristezza. La sera a casa continuo a tossire, sarà stata colpa della nuvola nera che ha invaso la Capitale, di quello sfaciacarrozze atomico andato a fuoco, mi sento come se dovessi espellere un morticino aggrappato da qualche parte al mio esofago.


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