E la luna bussò

Guardando al cielo ognuno cerca la sue risposte, qualcuno le trova, chi immaginando di vederle, chi fabbricandosele da solo. L’uomo voleva la Luna. E in una notte di luglio di quarant’anni fa se l’è presa. Mia madre era una ragazzina, stava in quella casa lì, in mezzo ai vicoli, mi racconta che nessuno dormì quella notte, non si sapeva bene se si dovesse guardare alla finestra verso il cielo oppure dentro il vetro in bianco e nero della televisione. La superficie della Luna aveva il colore di un neon impolverato. In una delle sue cronache dell’epoca per “L’Europeo” Oriana Fallaci scriveva: “L’uomo non è né angelo né bestia, è angelo e bestia, questo viaggio sta per essere compiuto dagli uomini e perciò compaiono in esso tutte e due le componenti della natura umana”. Coloro che vivevano come bestie dimenticate da Dio, ed erano come oggi centinaia di milioni, non sapevano neppure che esisteva il razzo Saturno, che va sulla Luna. Quanto a coloro che invece lo sapevano, e ne comprendevano il significato, c’era poco da illudersi.

Si temevano le insidie del viaggio. La Fallaci le raggruppava in tre categorie. La prima era quella di qualche microscopico virus o batterio, un germe lunare che avrebbe potuto invadere la nostra biosfera per contagiare il genere umano, gli animali, le piante, senza riuscire a trovare una difesa. La morte fisica, insomma. La seconda era quella di una tecnologia che avrebbe potuto prendere il sopravvento, addormentando i cuori, i cervelli, trasformando gli umani in robot incapaci di fantasia, sentimenti, rivolta. La morte spirituale, insomma. La terza era il timore che tutto si sarebbe alla fine risolto in un avvenimento giornalistico, in uno show televisivo dietro cui non ci sarebbe stato nulla fuorché qualche dato scientifico per far guadagnare chi guadagna già troppo. La morte morale, insomma. Il lato eroico della faccenda è che davvero non era possibile tirarsi indietro. Un paio di generazioni dopo non siamo ancora annientati, i pessimisti dicono peggiorati, di sicuro abbastanza delusi.

Oggi anche la Luna cantata dei poeti tristi e dei cantanti balordi pare passata di moda. Al giorno d’oggi sembra di vivere non sotto la luna piena, bensì in una foresta di dita che la indicano da qualche parte lassù. Quando l’uomo arrivò sulla Luna, era l’uomo a farlo: non gli Stati Uniti. Era un’intera specie animale a essere incollata davanti ai televisori, accanto alle radio, sotto le stelle. Non un americano, un russo, un bianco o un nero, ma un uomo, uno di noi, uno come noi, ce l’aveva fatta. Per un attimo si intravide la fugace nozione della stupidità delle nostre risse quotidiane. La prima immagine della Terra, tutta intera, era stata scattata appena pochi mesi prima, alla vigilia di Natale del 1968. Era la missione Apollo 8. Se ne accorsero per caso, alla quarta orbita: “Oh mio Dio, guarda laggiù”. Sembra incredibile che solo quarant’anni fa non sapessimo che faccia abbiamo. Certe volte neppure lo guardiamo il cielo che sta sopra di noi, affollato di riflettori invadenti, onde telefoniche, ripetitori televisivi, rottami satellitari. E adesso nel mio telefono cellulare c’è più tecnologia che in quell’intero razzo: però non mi porta da nessuna parte. Avevamo conquistato la Luna, e non sapevamo che farcene.


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