Eremo dell’angelo

Mi portano dentro una valle sigillata tra i monti, nel cuore dell’Umbria disseminata di grotte e buchi di roccia e tufo, luoghi prediletti dagli eremiti che si ritiravano dal mondo, in completa solitudine. Oggi seguendo i cartelli che indicano gli eremi si percorrono sentieri che si perdono nel bosco o si trovano stanze di alberghi eleganti. L’eremitaggio puro, senza trucchi, è materia difficile, per vivere: non per suicidarsi nella wilderness o scrivere libri alla moda millantando prestazioni inesistenti.

Si troveranno ancora in giro degli eremiti? Con la loro mancanza di utilità pratica, a dimostrare forse l’inutilità di tutto il resto. Non producono niente, né marmellate né libri, nemmeno preghiera collettiva, opere di bene, aura di potere, progresso sociale. Stanno fermi, come quella signora anziana che mi sbuca nei boschi vicino Spoleto, da dietro una casetta fiabesca piena di volumi ma ma senza energia elettrica, nel nulla delle montagne e dei pascoli. I capelli bianchi a caschetto tagliati alla buona, la faccia liscia, la veste di stoffa marrone. C’è qualcosa di francescano e medievale in lei, penso. Sta lì, le cose e le persone le arrivano, si può restare soli senza lasciare soli gli altri. “Un eremo non è un guscio di lumaca, e io non mi ci sono rinchiusa; ho solo scelto di vivere la fraternità in solitudine” scriveva Adriana Zarri, “l’isolamento è un tagliarsi fuori ma la solitudine è un vivere dentro”. Echeggiano meglio i suoni: lo stormire degli alberi, il gracidare delle rane, il rumore dell’acqua, le parole degli amici. E poi quando nell’animo si spalanca il buco nero delle giornate più corte dell’anno. Per qualche motivo gli eremiti e i missionari, gli uni l’opposto degli altri, sono sempre i più eretici dentro le chiese, dev’essere qualcosa che ha a che fare con l’inquietudine.


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