La guerra delle lucertole

Torno in campagna, rivedo i posti dove giocavo da bambino, le cassette di legno in cui rinchiudevo dei gattini o gli angoli in cui torturavo innocenti insetti. Si fanno dei giochi da bambini, delle cose che poi a ripensarci sono di una tale crudeltà che mi fa rabbrividire, adesso. Negli occhi dell’animale in trappola si specchia il te stesso carnefice, prima che la vita inverta i ruoli. Però si impara sempre, anche dagli animali.

Ricordo le lucertole, con la loro specialissima virtù dell’autonomia. Sopravvivevano al taglio della coda, se la amputavano da sole contraendo alcuni muscoli, lasciandola cicatrizzare e aspettando che ne spunti una nuova. E’ l’arte della guerra: quando capisce che sta perdendo la lucertola si finge morta. Lo facciamo tutti, ma lei è una vera virtuosa: mentre si finge morta, abbandona la coda a serpeggiare davanti agli occhi del nemico che si distrae. Dopo un po’, quando l’ossigeno presente nei centri nervosi si esaurisce, la coda si abbatte. Nel frattempo, se il piano ha funzionato, il resto della lucertola si è dileguato. Eppure come posso avere fatto una roba del genere io che oggi avrei dei sensi di colpa anche a calpestare una lumaca? Forse nei giochi e nelle forme di un ragazzino la crudeltà non è percepita. Come diceva Philip K. Dick, l’assassino perfetto è colui che da questo punto di vista è rimasto bimbo.


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