Antigone o Arlecchino

Non c’è bisogno di scomodare Antigone, qui siamo sempre ad Arlecchino: da che mondo è mondo ci piace fare la faccia feroce della legge con i deboli ed elemosinare un trattamento di favore con i forti, chiamare i gendarmi con i pennacchi e con le armi e nel frattempo brigare come azzeccagarbugli quando una legge non ci piace. Giusto che lo capiscano anche gli immigrati, appena sbarcati, dove sono capitati: sarà comunque meno peggio di dove son venuti e si sa che i più saggi di loro già pensano a come trasferirsi in altri paesi europei con migliori prospettive, in questo uguali a molti giovani coetanei nati in Italia e pure loro, in condizioni diverse, emigrati. In fondo non c’è nessun merito nel nascere a Milano o nel nascere a Lagos o Bengasi, nel trovarsi su una barca rischiando il naufragio oppure sulla riva del porto a godersi lo spettacolo. Nasci di qua o di là del confine, e poi c’è solo un’altra differenza: pensi che il destino degli uomini sia nelle mani del confine, ognuno resti dove sta, oppure pensi che il destino sia nella testa e nelle gambe di ogni uomo, a costo di attraversarlo quel confine. Chissà con quali occhi si rivedranno queste scene tra trenta o cinquant’anni, se con disagio o con orgoglio. Eppure un angelo della storia che svolazzasse sopra di noi vedrebbe un gruppo di giovani donne e giovani uomini che hanno rischiato di morire annegati nel mare pur di raggiungere questa terra dove noi siamo nati e conquistarsi la loro vita, a bordo di una barca guidata da una ragazza europea laureata, che parla cinque lingue e resiste imperturbabile alle minacce. Poi vedrebbe un branco di uomini e donne arrabbiati e spaventati sulla riva. A chi appartiene, tra questi, il futuro?


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