“Il ministro: siamo in pericolo, scuole chiuse”, “La fila interminabile delle ambulanze”, “Il video ripreso da una finestra”, scorro i titoli delle notizie stamattina e il primo sguardo non fa distinzioni tra il virus e il terrorismo. Ho smesso di chiedermi “dove”, ho smesso di chiedermi “perché”, mi guardo mentre penso “di nuovo?”. Chi c’era se lo ricorda: nei primi anni di questo secolo il terrorismo islamico suscitò lo stesso effetto che pochi mesi fa abbiamo vissuto di fronte all’improvviso apparire della pandemia. Lo stesso stupore, la stessa sensazione di essere dentro un film, la stessa tentazione di aver trovato una chiave capace di spiegarci il mondo. Forse la storia non si presenta più come tragedia e nemmeno come farsa, ai nostri occhi è destinata a presentarsi come opera d’arte, un ooooh di meraviglia mentre osserviamo un evento, un gesto, una notizia capace di condensare tutti i sogni, gli incubi, le paure, i desideri che fino a quel momento non eravamo in grado di nominare anche se ne avvertivamo l’esistenza. La storia ormai è quella cosa che quando si svela all’improvviso uno dice: “Ecco, lo sapevo, perché non ci avevo pensato prima”. Oppure, come si pensa sempre di fronte a certe esposizioni d’arte contemporanea: “Potevo farlo io”.
In tanti a marzo del 2020 ci siamo trovati a contemplare le immagini delle città deserte, svuotate dal lockdown, pensando che fossero tuttavia bellissime, e vergognandoci di questo pensiero, come quando nei giorni successivi all’undici settembre 2001, guardando e riguardando come ipnotizzati la sequenza dei due aerei che si schiantavano contro le torri gemelle, non potevamo fare a meno di notarne la perfezione estetica. In quella vecchia guerra le autorità, gli intellettuali, gli artisti ci chiedevano accorati di non modificare il nostro stile di vita, di continuare a uscire, andare al cinema, al ristorante, in discoteca, era una resistenza facile al nemico, bastava divertirsi, comprare, consumare. Adesso invece ci è chiesto di chiudersi in casa, smettere di lavorare o farlo a distanza invocando un sussidio, non uscire la sera, in cambio ci viene offerto un nemico capace di regalarci lamenti iperbolici, bottegai che possono finalmente dire “questo governo ci impedisce di lavorare” come dato reale, ansie delle nostre madri – “lavati le mani!”, “non uscire la sera!” – diventate decreto dello Stato, manifestanti che urlano “ci tolgono la libertà” senza poter essere smentiti ma al massimo contestualizzati. L’unica certezza è che come ogni volta diranno e ridiranno che nulla sarà più come prima.