Censori e ribelli

Ho delle idee, come va di moda adesso, ma se non dovessero funzionare ne ho delle altre. Ad esempio sono sicuro che le polemiche di questo fine settimana – un’unica grande chiesa da Pio e Amedeo a Fedez – siano la spia del declino irreversibile della vecchia tv generalista, accerchiata dalla voce dei nuovi media, dalla potenza di fuoco degli influencer e dei player concorrenti. Poi però mi sono convinto che proprio queste polemiche siano invece la dimostrazione che la centralità della tv generalista è tutt’altro che tramontata, capace di imporre l’agenda dei nuovi media, detestata e comunque ambita come fonte di legittimazione, amplificata dal rumore di fondo dei social network, che forse sarebbero vuoti se domani scomparissero le trasmissioni, le fiction e perfino i giornali da commentare con sagacia.

L’unica cosa di cui sono certo è l’età che ho, quella di chi ha fatto in tempo a vedere un’epoca in cui la televisione era realmente considerata il centro di tutto, il posto dove volere dire o non poter dire delle cose segnava il discrimine tra l’esserci e il non esserci nella scena pubblica e in cui una battuta fuori posto contro il potente di turno, in diretta davanti a milioni (all’epoca tanti milioni) di spettatori poteva costare la cacciata di un artista e la sua ricomparsa a distanza di anni come figliol prodigo, come venerato maestro oppure, in un emblematico caso, come conte di Montecristo fondatore di un movimento politico e dunque tramutato in potente di turno egli stesso. Ho visto, e talvolta anche contribuito a realizzare, decine di programmi in cui sulla Rai si raccontava la storia dei mille episodi di censura o parodie sulla censura avvenute nei decenni nella stessa Rai che nel frattempo a distanza di anni li ricordava con affettuosa ironia e relativismo molto romano. Il primo di questi episodi riguardò, se non sbaglio, Raimondo Vianello e Ugo Tognazzi negli anni Cinquanta, per dire. Erano d’altronde, e fino a non molti anni fa, gli stessi tempi in cui le battute sulle “parole proibite” da non dire in televisione erano appannaggio dei comici ritenuti di sinistra. Mondi e modi molto novecenteschi fatti di telefonate in ufficio, funzionari, copioni di carta, frasi cortesi con cui si invitava a non dire una cosa con l’obiettivo di farla dire e viceversa, contesti da interpretare, oggi destinati ad essere inceneriti dalla prima story di Instagram. Oggi le miss hanno smesso di volere la pace nel mondo ma i partiti (tutti) non hanno smesso di declamare “fuori i partiti dalla Rai”. Sarà forse per questi motivi che continuo a provare un’istintiva simpatia per chi rompe le liturgie, scombina le dirette, smaschera le ipocrisie e le tentate censure e, per gli stessi motivi, un’istintiva diffidenza verso le beatificazioni del giorno dopo, i tentativi di trasformare l’eroe di una sera nel leader della prossima epoca, in questo così simile alla precedente.


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