Tmo watch/ L’isola di Patatè

La ripetitività in televisione paga. Prendete Alba Parietti: anni che canta Etienne strusciandosi contro una sedia, e improvvisamente sembra di essere di nuovo giovani. E magari lei sarà pronta a giurare e puntualizzare di come, durante il suo strusciamento canterino, la curva (dell’audience) sia salita. Deve avere subodorato questa tattica anche il Masaniello dell’etere su Tmo – la telestreet gaetana che in un recente convegno all’università di Roma Tre perfino Carlo Freccero ha avuto l’ardire di definire come “una tv un po’ locale un po’ situazionista”.

Il mese scorso, il nostro beniamino Antonio Ciano, per chiudere degnamente la stagione estiva, è tornato al lido Patatè. Ormai rischia di diventare un siparietto monotono e prevedibile, però improvvisamente è stata un’epifania, come allora, come ai vecchi tempi. Paolo Di Domenico, per gli amici Pauluccio Patatè: il nerboruto e verace bagnino affittaombrelloni della spiaggia di Sant’Agostino (nuovo nome dello stabilimento – astenersi risolini – “Il pozzo da poppa”), il Pappalardo tarchiato della riviera d’Ulisse, autentica maschera della commedia dell’arte. “Come è andata la stagione Paulu’?”. “Ehee, nuje stimm’ carichi di diebbiti fino alle recchie!”. E via così, con le turiste in topless, i clienti che non vogliono pagare, l’odore di sugo, l’atmosfera sgarrubata alla “poveri ma belli”, il cartello scritto a mano “zozzoni non abbandonate i rifiuti!” (recitato con enfasi da Ciano), il Comune che aumenta le tasse, i salvati in mare che nemmeno ringraziano, la zuppa di pesce, i bambini che fanno le pernacchie, e la solita manciata di “chillu’ fetente” di qua e “chillu’ ricchione” di là.

Grande momento di pathos quando il Pataté mostra a Ciano le sue ferite di guerra (quale guerra? Pataté ha fatto pure la guerra?), e quello incoscientemente “si dai, vediamo”, e Patatè gli dice “si, ma le palle ci sono ancora”, e poi intuisci il gesto che sta per seguire, e Ciano che tenta di fuggirne con un “no, ci credo, non voglio vedere”, ma il sommovimento di braghe e muscoli è già partito, è giusto un attimo, e l’irreparabile si compie sotto gli occhi di una pia spiaggia domenicale. E meno male che la telecamera di Ciano, in quei dieci secondi fatali, puntava verso il cielo. Patatè – a cui Ciano propone di “intitolare la spiaggia” – merita di entrare a far parte dei “Nouveaux Philosophes” di questo universo del sommerso, della meridionalità marginale, dell’arte di arrangiarsi, del verismo televisivo di cui a volte è capace TMO. Pataté è l’antidoto ad ogni presunto nichilismo occidentale. Se poi siete tra quelli che la tv deve mostrare cose moralmente più elevate o eleganti delle allegre fesserie di Antonio e Pauluccio, c’è sempre la Parietti sull’altro canale, a cantarvi Etienne.


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