Agosto con squarci di realtà

C’è un momento, camminando su una spiaggia del sud siciliano, in cui il Mediterraneo smette di essere solo una piscina per turisti, un confine liquido e apparente, e diventa un archivio. Ogni onda porta una storia, ogni approdo mancato lascia un segno. Mi fermo davanti a questo relitto: una barca inclinata sulla battigia, sventrata dal tempo e dalla salsedine, come un animale stanco che ha raggiunto la riva per l’ultima volta. Non so da dove venisse, quante persone abbia portato con sé, cosa cercassero. So soltanto che il legno verde e bianco, le scritte arabe scolorite, le ringhiere mangiate dalla ruggine raccontano più di quanto sembri. Parlano di viaggi che iniziano molto prima e finiscono molto dopo l’arrivo. Parlano di partenze senza garanzia di ritorno. Parlano di lavori in cui ogni notte è infinita e ogni pesca è una scommessa.

La cosa sorprendente è che la scena non era triste. Il mare era calmo, il cielo pulito, le voci dei bagnanti e dei bambini poco lontano riempivano l’aria, la luce d’agosto la tagliava senza pietà, forse affidandole una dignità nuova. Non so se questa barca sia arrivata carica di persone, o vuota, o già abbandonata da tempo prima della risacca. Un giorno la porterà via una mareggiata, o la faranno sparire in un giorno vuoto, senza testimoni. Certe rotte, però, non si cancellano con la sabbia: restano incise, invisibili, proprio sotto il punto in cui l’onda si ritira.

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