C’è un momento, alla fine dell’interrogazione orale, alla fine degli esami di maturità, insomma alla fine di tutto, in cui un professore della commissione chiede al candidato: “E dopo cosa hai pensato di fare?”. In quel momento l’asimmetria dei ruoli sembra scomparire, lo studente può respirare, non è più sotto torchio, tutti e due, lui e il professore, sono nell’aria aperta della maturità. Uno, lo studente, ha appena finito di padroneggiare – bene o male, non importa – questioni di cultura greca e vulcanologia, critica letteraria novecentesca e rudimenti di economia politica, equazioni algebriche e dissertazione sulla storia dell’arte, interrogato su tutto lo scibile umano con quella sicumera un po’ ostile a volte scambiata per serietà. Gli altri, i professori, ora possono parlare da adulto a adulto, come a gettare la maschera di quel grande gioco di ruolo che è la scuola dell’obbligo, e vogliono sapere cosa farà ora quel giovane della sua vita, in che modo si metterà a disposizione per il loro mondo, per il lavoro, per produrre, per integrarsi nella società. Che hai deciso di fare: non tradurrai più una riga di latino in vita tua, oppure dimenticherai per sempre le funzioni e i limiti? C’è chi risponde che andrà a studiare in qualche università, chi spera di passare un test o un concorso, chi è ancora indeciso, chi vorrebbe mettersi a lavorare se il lavoro ci fosse, o vorrebbe fare dei sacrifici se il futuro fosse a portata di mano.
Non ho mai sognato di notte l’esame di maturità eppure centomila volte sarei voluto tornare indietro a quel momento soltanto per rispondere: farò tutto. Rivolterò da capo a piedi il mondo, mi interesserò di biotecnologie, e continuerò a leggere sonetti, m’intrufolerò ai corsi di lingue orientali e proverò a imparare a dipingere, andrò dal Tirreno all’Adriatico a piedi attraversando gli Appennini, mi metterò a suonare uno strumento antico, riprenderò in mano ogni tanto l’Odissea, mi leggerò per intero il Capitale, mi comprerò un cannocchiale per esplorare le stelle d’estate, e viaggerò sulle vie delle spezie e della seta. Proprio la scuola mi ha fatto conoscere autodidatti e gente che stava stretta sui banchi e rivoluzionari senza test d’accesso, proprio la vita mi ricorderà che chi va troppo bene a scuola poi si stancherà presto di correre appresso ai propri talenti, e ora mi dite perché io dovrei scordarmi tutto e accontentarmi di pensare al futuro solo come una facoltà universitaria?

