Sto ascoltando un disco di Glenn Gould che suona al pianoforte. Lui aveva un pianoforte che era sempre lo stesso, lo trovò una volta per caso in un sottoscala e non se ne separò mai per il resto della sua vita. Aveva anche uno sgabello, una sediolina pieghevole costruitagli dal padre, che non cambiò mai, e un signore che sapeva accordare il pianoforte come nessuno, e nessuno infatti prese mai il suo posto. Questo accordatore si chiamava Charles Verne Edquist, vedeva pochissimo, era quasi cieco, ma era in grado vagamente di riconoscere i colori. Aveva anche l’orecchio assoluto, per cui sapeva riconoscere le note. Nella sua testa, le due cose si erano mischiate. Per cui se gli suonavi una nota lui era in grado di dirti che era un Fa e se gli chiedevi come faceva a saperlo lui rispondeva: be’, è blu. Il Do era un verde giallastro, il La bianco, il Re color sabbia. Un giorno, alcuni anni dopo che si erano conosciuti, ebbe un momento di coraggio e spiegò a Gould quel suo strano modo di vedere le note. Dovette dirgli che il Sol era arancione, o una cosa del genere. E Gould, quel genio di Gould, rispose che aveva ragione, che era proprio così, che anche lui lo sapeva da tempo. E in effetti, se lo ascolti, ti può sembrare di sentire i colori colare giù lungo le note, come gocce sulla schiena, come linee inaspettate su un vecchio palazzo.

Colori e note
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