Erano i primi maggio più belli, quelli di quando eravamo molto giovani e molto spensieratamente disoccupati. I panini col prosciutto, che sudavano dentro la carta argentata, e il vino rosso nelle bottiglie di plastica. I coinquilini fuorisede del tacco o della punta d’Italia. I treni presi dalla provincia, di notte senza pagare il biglietto. Per le strade tutto un pullulare di bonghetti e belle ciao stonacchiate. Echi di comizi sindacali a tutto volume. Ci siamo molto divertiti, è vero. Le nostre labbra le spedivamo continuamente a un indirizzo nuovo, o le nascondevamo dietro un post-it per il sito di Repubblica, contro la legge bavaglio. Ci sembrava veramente bella, incredibilmente sopportabile, questa idea di mescolare le sonorità mediterranee con il reggae. I conduttori della manifestazione occupati a lanciare uno dei tre milioni di appelli all’umanità previsti in scaletta. E i cantanti dal palco che inveivano contro il governo in carica, che ci sembra essere stato sempre berlusconiano, anche quando forse non lo era, e noi saltavamo, saltavamo sempre. Ci veniva facile difendere “la libertà di espressione degli artisti”, “il grande valore dei sindacati” e tante altre belle cose. Le uniche belle ciao sono quelle che salutano con la mano quando gli passa la telecamera sopra la testa. Sembrava così esaltante essere uniti dalla forza dello sdegno. E ci siamo chiesti, con una ragazza sedute sulle spalle, se ne valeva la pena di affidare l’anima a un castello di carta.
Chissà se molti di quelli adesso in piazza, molti meno, senza più bandiere, magari nati ai tempi della Seconda Repubblica, sapranno davvero chi è Licio Gelli evocato come un petardo dai rockers in via di bollitura, o magari chi era il Piero Pelù dei mitici Litfiba, non il bislacco giudice da talent show in fissa con le scie chimiche di oggi, ormai perfino il ben più partecipato contro-concerto di Taranto, a due passi dall’Ilva, mostra in pubblico le ferite aperte negli anni dalla politica sindacale, “non c’è sindacato non c’è mai nessuno che mi ha amato”, e molti dei ragazzi che qualche anno fa andavano al concertone di Cgil Cisl Uil ora devono lavorare anche il Primo Maggio e si accorgono la sera che non possono nemmeno tornare a casa col bus o col tram, che nella capitale d’Italia, per antico precetto sindacale, il Primo Maggio sono fermi tre ore a pranzo e quattro ore la sera. Primo maggio, su coraggio, canterebbe l’unico che varrebbe la pena di invitare.