Keith Richards si affaccia dal balcone del Saint Regis e sembra quasi una gattara in mezzo alle rovine romane, agitando davanti alla folla i fantasmi di gioventù bruciate troppo tempo fa, come lische di pesce di fronte a un popolo affamato di ricordi non vissuti. Aveva ragione Rosseau, cattivi si diventa. “I Beatles avevano scelto di fare i bravi”, dice Keith Richards, il chitarrista, in un recente documentario, “A noi cosa restava? Fare i cattivi”.
Nessuno sa però cosa essere e cosa diventare in queste estate appena iniziata e che già scappa da tutte le parti, bipolare come il tempo metereologico, tra bufere di fine del mondo e improvvisi squarci di sole senza alternative, come le partite dei mondiali, tra la cavalcata vittoriosa verso la finale e l’uscita ignominiosa dopo due partite e mezzo. Telefoni che non squillano mai o che squillano tutti insieme. Andiamo a fare la fila sotto le rovine di una città che aspetta sempre la sua grande occasione, la sua folla catartica, l’evento che la sollevi come un onda nel mare limaccioso, andiamo a fare la fila per quelle quattro pietre rotolanti, come imbucati a una festa altrui. Loro quattro, sul palco, saranno più vecchi di tutti noi che li ascoltiamo, e al tempo stesso più giovani, che in fondo non devono dimostrare più niente.