I gufi sono tutti all’ingresso, effigiati su magliette che presto saranno da collezione, mi dico le compro tra un’ora, ma quando torno già non ci sono più, andate a ruba. È un sabato italiano, un sabato speciale. Le bandiere rosse stanno bene sull’azzurro del cielo e sul marmo della basilica, lì a San Giovanni col grande sindacato, gli sguardi sono tutte intensi, facce cariche di tormenti novecenteschi, dignitose davanti alla crisi, memori di mille scioperi generali, sull’attenti quando suona l’adunata dell’ideologia, quella che ha bisogno di un nuovo nemico sulla strada altrimenti luminosa del progresso. Nella stazione dismessa della Leopolda a Firenze le luci sono calde, regalano incarnati bellissimi alle giovani ministre e ai ragazzi con le chiome bionde un po’ scurite e le camice bianche, al massimo a righine blu, e tutti si fanno tra di loro le domande per sapere se c’eri già l’anno scorso, e due anni fa, e l’anno prima ancora, quando Renzi non era ancora al governo, e si risponde sviando, oppure provando a fingere di essere habitué.
È un sabato così, l’appartenenza alle vecchie idee, alle categorie di un tempo scivola via insieme al vento che fa sventolare le bandiere e perfino i badge appesi al collo. Si gira tra i tavoli che sono cinquantadue, tondi, come in un matrimonio o in una grande tombola collettiva, senza bandiere di partito, coi ministri seduti a parlare e prendere appunti. Si gira tra le persone in piedi che sfilano sotto le bandiere del grande sindacato, lungo strade ormai collaudate, sopra sampietrini e asfalto consumati dal tempo di mille marce evaporate e calpestate. Il governo è lì, sopra di noi, di sinistra ma anche di destra, in qualche modo onnivoro, chi è in maggioranza si sente all’opposizione di chi è in minoranza, chi è in minoranza si sente comunque maggioranza tra i suoi e non si capacita. Chi va a Roma, chi va a Firenze, è una separazione senza traumi, chi fa le foto a San Giovanni con l’iPhone e sembrano già venire fuori col filtro 1977 di Instagram incorporato e chi sui viali di Firenze ha nostalgia di una cabina telefonica a gettoni per ritrovare la bussola, ma poi va a sbattere contro le pareti della stazione, troppo impegnato a controllare quali protagonisti della propria timeline di Twitter sono oggi proprio lì in carne ed ossa insieme al proprio beniamino, Matteo, Matteo. “Individui con idee diverse si separano – scrive lo sceneggiatore Umberto Contarello su Facebook – ma nessuno prova dolore autentico, nessuno avverte o onestamente urla al sangue del tradimento. Al massimo si parla di coerenza, di opportunità, cosette da bon ton”. Dobbiamo superare le appartenenze, le ideologie, le vecchie divisioni, le ossessioni di purezza, ma alla fine abbiamo tutti bisogno di un curriculum impeccabile tra i convinti della primissima ora e di un avversario comune su cui puntare i riflettori.