E mentre le luci sopra il mare si spegnevano una ad una, e il barista serviva l’ultimo caffè e tornavo indietro verso le vie strette che si lasciano alle spalle il vento e il cielo e il respiro e ti proteggono finché non arrivi a casa, e insieme ti imprigionano finché non scappi via di casa, pensavo che ci sono cose che non si possono spiegare e capire, non dappertutto almeno. Ci ho messo un po’ di tempo ma alla fine l’ho capito. Anche quei pescatori sul molo l’altra sera facevano qualcosa che faceva felici solo loro. E quella ragazza che stava da sola laggiù a godersi il mare e il sole e una canzone nella cuffie faceva lo stesso. Una di quelle canzoni che parlavano d’amore, di dolore, anche di rabbia, di tempo perso e di caffè che bolle, e dentro tutta l’allegria e la pigrizia di una terra sotto i piedi che dice scappa, ma anche resta. E mi viene una botta di appocundria se mi giro adesso verso il mare, che non è nostalgia, e neanche malinconia, e figuriamoci ipocondria. Forse un misto di queste cose, unito al magone, al rimpianto, è quella cosa che i napoletano chiamano appocundria, una specie di vulcanica saudade.
È questa appocundria, accettazione fatalistica della buona e della cattiva sorte della vita, noia esistenziale venata di scettico ma malinconico distacco per qualcosa di indefinibile che non è, non è stato e non è potuto essere. Si può ridere dell’amore, in fondo pure della morte, prendersi in giro mentre si soffre, dondolarsi sopra una giornata così così, dicendo tra sé e sé chemenefotte. Come quelle canzoni che uno si aspettava parlassero del sole mio che sta in fronte a te e della bella giornata, e invece no, pure se uno ha ancora addosso l’odore del mangiare, e la figlia in braccio che gli tocca la faccia, e il vento che è passato e adesso il cielo è sereno, allegria non ce n’è, e questa strana malinconia non se ne vuole proprio andare. “Appocundria me scoppia ogne minuto ‘mpietto pecchè passanno forte haje scuncecato ‘o lietto appocundria ‘e chi è sazio e dice ca è riuno appocundria ‘e nisciuno, appocundria ‘e nisciuno”.