Lungomare

Sul lungomare si va per godersi il sole, il mare, la vita. Per guardare l’orizzonte, le barche che passano in lontananza, gli ombrelloni dove c’è una spiaggia, i fuochi d’artificio nelle sere di festa. Nei paesi di mare il lungomare è il vestito buono delle sere d’estate e il pigiama delle mattine d’inverno, e per chi è nato qui e poi va fuori nelle città senza lungomare, anche se sono le metropoli più belle o le capitali più nobili, gli sembra sempre che manchi qualcosa, come vivere in una casa senza balconi. In Francia il lungomare spesso è chiamato la promenade, la passeggiata. Farsi una passeggiata è il lusso che può permettersi chi li ha già provati tutti e chi non può provarne nessuno, e allora non gli resta che camminare senza una meta, solo per il piacere di farlo, per guardarsi attorno e forse per guardarsi dentro. Prendere un caffè ai tavolini di un bar, andare a sentire un concerto in un locale o in una piazza, salire su un aereo e scoprire il mondo, farsi una passeggiata in una sera di luglio in una città affollata di turisti e di ragazzi, quante cose così belle e così banali potremo continuare a fare, senza paura? Quante libertà ancora potremo concederci?

Il mare quando abbonda corre il rischio di nascondersi, più ne hai e meno lo vedi. E il lungomare espone il litorale e insieme lo protegge. Rovina le facciate delle case e dei palazzi e al tempo stesso ne fa salire il prezzo. Sbattuto dal vento dell’inverno, dall’aria salata delle buriane fuori stagione, poi rammolito nei bagni dell’estate, di voci e di sudore e di canzoni. A volte sembra che il vento sposti le isole o i promontori, che quasi sempre spuntano in lontananza, come navi alla deriva. E c’è sempre qualcuno che punta l’indice sentenzioso, pensando di riconoscere il nome di un’isola dall’altra parte del mare, ma poi chissà cosa ha visto. Per chi ci resta e non se ne va più, il lungomare diventa “il lungomai”, il posto dove si attende tutto e non si cerca più niente, dove sentirsi il centro del mondo e da lì giudicare il resto del mondo che non vogliamo conoscere. Le palme e le panchine, i palazzi e i marciapiedi larghi, poveri o ricchi, italiani o stranieri, tutti i lungomare si assomigliano. Tutti sono il tentativo di urbanizzare e addomesticare il mare, quel mare che all’improvviso rovescia tutto, barche e argini e cartoline. Nella mia piccola città che fu fortezza e prigione, dopo la guerra decisero che il miglior segno di pace era costruire un lungomare, buttare giù senza pensarci tanto i vecchi e decrepiti bastioni militari, spalmare su quelle rovine bombardate un viale a due corsie che a tutti, strabuzzando gli occhi mentre uscivano dai vicoli, dovette sembrare il simbolo della modernità e del progresso, con tutte quelle palme e quell’asfalto e quei lampioni. Avremmo saputo solo molto più tardi che la guerra poteva arrivare ovunque e all’improvviso, anche in una sera d’estate e di festa, su un lungomare francese visto alla televisione.


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