Il bello, il terribile

C’è un Italia fatta di alberi che sta al centro di una distesa incantata e invisibile, chiamata Pian Grande, una prateria di semi ostinatamente piantati e di fiori bellissimi già seccati prima del raccolto, che sta al centro della linea di faglia che continua a far tremare l’Appennino, che sta al centro dell’Italia, che sta al centro del Mediterraneo inquieto, dove le persone si spostano e confliggono come placche tettoniche eternamente instabili. Alle spalle una strada aggrappata a curve sprofondate e pareti franate. In fondo alla conca, l’unico abitato, la rocca di Castelluccio ridotta in macerie. La coabitazione tra il bello e il terribile, tipica della natura, tipica dell’Italia. Come se fossero condannati a coesistere. Laggiù il monte gigantesco che dorme, la faglia, centinaia di morti. Laggiù il paradiso della natura, del cielo immenso, del raccolto della terra che ricomincia. Sono un tendone della protezione civile si affollano soldati con piatti di lenticchie. Vento e nubi basse, temperature fredde, fulmini improvvisi, nastri di plastica a delimitare zone rosse. Sembra di entrare in un altro mondo, un mondo dove dopo gli anatemi, i lamenti e le lamentele della distruzione, era venuto il tempo del silenzio, il silenzio dell’abbandono o di chi senza troppi aiuti prova a ricominciare.


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