Seduto ai tavoli del bar, nella controra elettorale in cui nemmeno i candidati più incalliti osano avventurarsi a caccia di promesse, leggo un vecchio libro di Cosmo Ciaramaglia, che fu operaio e scrittore nel paesone gaetano del secolo scorso, ai tempi in cui perfino qualche ciminiera, di fronte al mare, fumava. Il libro si chiama “Razza caina”, e parla di questa città invisibile che si chiama Cainopoli, “una terra inondata dal sole e ubriaca di mare”. Non puoi non leggerlo tu che torni sempre qui, mi disse un’amica. “Da cainoti si tramava alla distruzione o alla frantumazione di tutto ciò che edificato nel bello apparteneva ad altri”. Nel paese di Cainopoli nessuno provava a mettersi a mostra e se qualcuno ci provava ecco “la gente si ritrovava assieme per giudicare, sempre in questi casi la gente travestita da popolo esecrava, condannava, emarginava, uccideva”.
Cainopoli, città invisibile di noi gaetani. Sarà l’acqua che manca dai rubinetti in questa estate precoce, sarà l’aria salata di mare che qualcuno vorrebbe usare per lavarsi, ecco che ci sentiamo attuali in questo mondo malato di cainite, in questo tempo popolato di figure sinistre alle quali la ragione perduta regala ali. Ecco l’amico che si candida e ci tiene a farcelo sapere: prima ancora di dirci quello che vuol fare si premura di parlare male degli altri, che stiano dall’altra parte oppure dalla stessa sua. Ognuno ha un conto da regolare prima col suo vicino che col suo avversario. Come l’antica parabola del genio della lampada al quale il contadino di questi luoghi, di fronte alla possibilità di esprimere un desiderio a condizione che il suo vicino ne ricevesse il doppio, disse senza esistazioni: “Cecami un occhio”.
Risponderebbe la stessa cosa il Capitano Massimo Magliozzi, già sindaco negli anni d’oro del berlusconismo, sbuffando fumo da quelle narici e quel pancione da drago, se qualcuno gli mostrasse la foto del sindaco uscente Cosimino Mitrano, che invece dietro il suo sorriso smagliante nasconde zanne appuntite, pronte a mordere se ogni fontana luminosa e rotonda fiorita e marciapiede marmoreo e fuoco d’artificio non si tramutasse nei voti che adesso si aspetta. Invocherebbe il dito nell’occhio pure l’ex sindaco civico Anthony Raimondi, detto l’Americano, che come ogni puro trova uno più puro che lo epura, lui ha trovato uno più civico che gli ha scippato il civismo, quel Luigi Passerino con nome di uccellino e arguzia di serpe covata in seno, che ora vuol fare il colpaccio come lui dieci anni fa, avendo forse imparato dal maestro l’arte del fare splendide campagne elettorali e scassatissimi governi. Polifemo e tutti gli dei scomodi invocherebbe il candidato senza simbolo della minoranza Pd, Emiliano Scinicariello da alcuni ancora perfidamente soprannominato Bambolotto, pur di prendere un voto in più di quell’altra metà del Pd che si è offerta mani e piedi all’alleanza con Forza Italia e con l’uscente sindaco Mitrano, così che ora di nuovo pure questa elezione diventerà l’ennesima conta dell’ennesimo congresso. “Cecami un occhio” direbbe pure il candidato Benedetto Crocco, nome da bravo uaglione e cognome da brigante, candidato di Rifondazione Comunista, alla sola ipotesi di incrociare per sbaglio il candidato di Casa Pound, il giovane Mario Pecchia, che però è l’unico che più gli assomiglia, poveri e idealisti e radicali all’opposto come sono, l’unico che le cene elettorali può permettersele solo servendo ai tavoli come cameriere nella pizzeria dove lavora. E invocherebbero cecità generali pur di emergere come unica luce anche quelli del Movimento Cinque Stelle, alla loro prima elezione, con la candidata Laura Vallucci ancora timida e altri che alle sue spalle scalpitano già immaginando listini per il Parlamento alle prossime politiche, naturalmente puliti, incensurati, vidimati in nome della gente e contro la casta.
La cainite è una sindrome che si aggrava sotto elezioni. Ha già diviso fratelli democristiani da fratelli pentastellati, fratelli civici da cognate consigliere, fratelli ex sindaci del Pds da fratelli che hanno scoperto le gioie del civismo “né di destra né di sinistra”. Ogni candidato ti parla male di qualcun altro, perfino in un paese di 8 candidati sindaco e 414 candidati consigliere comunale su un totale di 19007 elettori, all’incirca un candidato ogni 45 abitanti. Dunque ci si conosce, eppure sono tutti sporchi e tutti cattivi, tranne naturalmente tu e lui, tu che sorseggi il caffè e il candidato che insiste per offrirtelo. Anche le promesse non sono più quelle di una volta: c’è chi ha sentito un candidato consigliere comunale dire “votami, così se eletto potrò far trasferire qui vicino col lavoro mio figlio”, e si rimpiangono i tempi in cui almeno ci si sforzava di illudere i cittadini promettendo un lavoro al figlio dell’elettore invece che al figlio dell’eletto. Stranezze elettorali: c’è pure chi ha scoperto il proprio locale affittato “a sua insaputa” come sede elettorale di un candidato. E c’è chi voleva chiamare la propria lista col nome del suo ristorante, e hanno dovuto faticare per convincerlo che forse non era il caso, non sia mai qualcuno in commissione elettorale si fosse imputato.
Più che i ristoranti, gli unici a guadagnarci sono i bar. Evaporate le sedi politiche e i partiti di una volta (oggi, si sa, sono tutti “civici”, tutti “in movimento”, tutti “oltre”) le nuove agorà sono i bar. Al Caffè del Corso si è svolto l’ultimo congresso del Pd, dopo il vano tentativo di cercare ospitalità in una parrocchia. Al bar Chiar di Luna il fumantino consigliere Accetta aveva abbandonato la maggioranza di centrodestra a colpi di “porco questo” e “porco quello” finiti il giorno dopo sul giornale. Al bar Avalon ai giardinetti i fascistoni di Forza Nuova si sono pian piano convertiti – perfino loro! – al civismo e alla grande coalizione con Forza Italia e Pd, sotto mentite liste. Al bar pub Clash si può invece sentir dare l’assalto al cielo del capitalismo con i compagni superstiti di Rifondazione, lì spiaggiati a tutte le ore. Alla pasticceria Stenta hanno raddoppiato il fatturato da quando hanno inaugurato i nuovi locali accanto alla sede del candidato sindaco Magliozzi, che offre caffè a chiunque passi da lì. Mentre al dirimpettaio bar Piazza Roma il giovane Gennarino Romanelli ammortizza la sua prima candidatura col fatto che i caffè da offrire sono tutti nel bar di famiglia.
E pure io adesso vorrei restare al bar a leggere della “razza caina” che mi assomiglia, oppure il saggio di Victor Pérez-DÍaz sulla “cainite” sulla rivista del Mulino, almeno quando dice che “per i cittadini comuni il fatto di combinare tanto stress accumulato in così poco tempo con simili dilemmi porta come risultato un alto rischio di offuscamento mentale, la ragione richiederebbe infatti una qualche forma di conversazione amichevole, lontana dal rumore compulsivo delle squalificazioni reciproche”. Un po’ di tempo, un po’ di calma, ma come fai, è già arrivato un altro candidato che vuole offrirmi il caffè.