Caduti

In questi momenti, purtroppo, io non saprei né chi pregare né bombardare. Ci si torce le mani, ci si fissa i piedi, ci si appoggia con la schiena alla parete di un posto qualunque dove avremmo potuto essere anche noi. Qui attorno è solamente pioggia e Francia, cantava quello, e ora pure il bombardamento delle vostre parole scagliate al mondo sicure di colpire il bersaglio, incuranti degli effetti collaterali, colme di certezze e indignazione, ristabilendo le gerarchie dei vivi e dei morti, bambini siriani buttati a caso nella mischia, sacri propositi di non mangiare più kebab, lo sforzo dei poeti e dei mezzi giornalisti, la gara a saperla più lunga, più struggente, più cinica degli altri, una canzone o un tricolore o una candela, un crocifisso inutile appeso al muro, la metafora di una sedia vuota, le royalties per Yoko Ono. Bisognerebbe stare in silenzio, dicono i saggi. Un superstite del concerto al Bataclan ha detto: “All’inizio credevamo che facesse parte dello spettacolo”. Non si distingue all’inizio come pompa un basso da come pompa un kalashnikov, se ci sono troppe luci e troppe voci è una fatica trovare l’uscita.

Ma se fosse proprio quel rumore di fondo a salvarci? Ci faranno paura questi uomini e donne che ci arrivano addosso ma ci troveranno così: a litigare su Facebook con tutte le maiuscole e i punti esclamativi, a urlare come pazzi a un concerto rock, a invocare il nome di dio assolutamente invano, per un gol mancato allo stadio o per un parcheggio in seconda fila, in fila alla cassa del centro commerciale, col telefonino in mano o sdraiati su una spiaggia, in una darkroom di Berlino con l’abate di Montecassino, c’è un arabo che gli viene duro, o mentre facciamo giochi di parole stupidi e battute sui terroristi che tanto non arriveranno a Roma perché prima esploderanno da soli su una buca, mentre diamo la colpa agli americani, “stavamo andando in un ristorante quando abbiamo visto questa persona con il cappello nero che imbracciava il mitra e sparava sui ragazzi davanti al bar, noi volevamo andare a mangiare, parlare un po’ tra noi, bere del vino”.

Non l’hai capito ancora che siamo in guerra. Ma guardo le corone di fiori appassite di qualche anniversario sotto tutti quei vecchi monumenti, soldati con l’elmetto che sorreggono compagni esanimi, nelle piazze di paese o nelle aiuole di città. Che monumento faremo a questi caduti nella folla di un concerto, seduti con un bicchiere in mano al tavolo di un bar, falcidiati in fila al supermercato o alla scrivania di una redazione al giornale. Caduti come noi che a quelli con la faccia seria e compunta che ci dicono “siamo in guerra” avremmo risposto con un sorriso e un’alzata di spalle, prima di ordinare un altro bicchiere.


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