Santo Dibba batte Santu Raimo. Non poteva che finire così il derby andato in scena a Gaeta, nel paesone di mare dove l’odore di santità aleggia in ogni angolo in questi giorni sudati di campagna elettorale per le comunali. C’è la santità dei volti che spuntano dalle tasche delle giacche, dai portafogli e dalle borse, dalle buste dei supermercati e perfino nelle tazzine di caffè dei bar, grazie alle nuove finora inedite bustine-santino con la faccia del sindaco uscente, santini di aspiranti consiglieri comunali, alcuni così carichi di promesse che basterebbe leccarli, come i leggendari francobolli d’un tempo carichi di lsd, per ritrovarsi d’incanto, chessò, usciere della Asl o vigile stagionale. C’è la santità ormai istituzionale dei santi patroni, il famoso Erasmo e il sempre trascurato Marciano, vescovi e martiri di origine turca, dunque santi di professione da almeno milleduecento anni, sempre visti con una certa freddezza dalla devozione popolare locale, che gli preferisce madonne pescatrici e santi medici più alla mano, giacché l’eterna lotta tra élite e popolo si combatte ovunque, e tuttavia con la sventura di avere come ricorrenza il 2 giugno, e cascare almeno ogni cinque anni nella stagione delle elezioni, dove ogni miracolo è possibile. E poi c’è lui, Alessandro Di Battista, per gli amici e i devoti Dibba, deputato e mattatore delle piazze del Movimento Cinque Stelle, che proprio alla stessa ora in cui i santi patroni rifulgono in processione e sostano sotto il Municipio per benedire autorità e cittadinanza, piomba giusto lì accanto, per l’immancabile comizio. E Dibba è “santo subito” per la folla accorsa, che in effetti manca che gli urli solo quello, e lo accoglie come il Garibaldi dell’anti-casta, con tanto di neonati posati in braccio, corredini in regalo per il figlio in arrivo, solenni propositi di vendetta e giustizia sociale affidati con l’imposizione della mani e la trasmissione delle dirette su Facebook.
A nemmeno cinquecento metri di distanza, con la torre civica a osservare entrambi, le piazze di Santu Raimo e di Dibba santo subito sembrano uscite dalla stessa commedia all’italiana. E se da un lato ci sono i carabinieri con pennacchio, il sindaco di Forza Italia alleato con il Pd come nei peggiori cliché, gli altri candidati ammiccanti e incravattati, la banda musicale, e il vescovo che però papafrancescanamente dice a tutti “niente Eccellenza, voglio essere chiamato don Gigi”, ecco che invece dall’altro lato sotto il palchetto dei comizi (“anche questo palco ve lo siete finanziati da soli, con una colletta, bravi!” dice Di Battista a un certo punto, e la povera candidata sindaco obbligata a smontare il sogno pauperista della colletta e rispondere “veramente questo è un palco del Comune”) pare di vedere la vera cerimonia religiosa, con un invasamento fideistico nemmeno paragonabile. “Sei un grande” urla uno dalla piazza, “no, voi siete grandi, è tutto nelle vostre mani” risponde Di Battista, fedele al ruolo di “portavoce” grillino e però già irrimediabilmente piacione nell’oratoria da comizio, alternando l’invettiva all’aneddoto (“pensate che Colaninno alla buvette di Montecitorio ordina solo il the in acqua minerale, acqua Fiuggi o acqua Panna però, diffidate di chi ordina il the in acqua minerale!”), ormai fedele al suo ruolo di bello e sognatore del grillismo, un po’ Che Guevara, un po’ Albertone e un po’ il mitico Manuel Fantoni del “Barotalco” di Verdone che si imbarcava su un cargo battente bandiera liberiana (e infatti, “io ci sono entrato in Parlamento e mai avrei pensato, mi arrivò una email nel 2012, io stavo a Lisbona, a svuotare cantine con due ragazzi brasiliani per imparare il portoghese che poi volevo tornare a scrivere in America Latina”).
Santo Dibba comunque non promette miracoli. Anzi, dice, non dobbiamo fidarci nemmeno delle speranze, chi ci dice di sperare in qualcosa in realtà ci vuole fregare, e subito una signora bionda accanto a me urla: “Bravo! Anche io ho tolto la parola speranza dal mio vocabolario”, proprio così, e vorrei quasi chiederle, perché signora, non faccia così, quando alle spalle di Di Battista si infila sul palco un vecchietto, reclama il microfono per parlare, dice “sono il signor Capuozzo, scusate se sono molto incazzato”, dice “non voglio che i miei nipoti si trovino coi pidocchi nella pasta”, dice “la camorra sta alla Camera, sta in Senato, sta pure nella Chiesa”, dice “in parlamento c’è gente cattiva, è lota, lota, lota!”, lota in dialetto napoletano è una parola per dire “melma, fango misto probabilmente ad escrementi, tipico di fogne e cloache”. La piazza se ne viene dagli applausi. Di Battista annuisce, “ha ragione, ha ragione”.
E dire che appena pochi giorni fa i Cinque Stelle locali erano cinque davvero ai comizi in piazza, e ora sono centinaia, tutti entusiasti e fomentati, tutti contenti di sentirsi migliori. Piazze piene e urne vuote alle comunali, mi dice un giornalista di cose locali, ma urne piene alle prossime politiche, vedrai. “Il mercato delle comunali qui è già saturo, tra 8 candidati sindaco, 414 candidati consigliere, e siamo una cittadina di appena ventimila abitanti, ‘ndo vanno questi, uno sveglio hanno e se lo conservano per le elezioni politiche” spiega l’amico esperto, osservando sconsolato la candidata sindaca a cui qualcuno ha consigliato camicette bianche e piastra per i capelli, forse per darle quell’aria da Virginia Raggi spaesata che tanto piace agli elettori. E tuttavia io quando vado ai comizi a Gaeta conosco sempre tutti, e sotto elezioni il mio paesone mi pare un presepe dove nessuna statuina manca all’appello, l’ex compagno di scuola, la professoressa di sinistra, l’avvocato per sempre democristiano, il pensionato che ora va a pesca, l’amico di famiglia, il barbiere, il barista, il comunista, il fascista. Qui invece fatico a trovare volti familiari, e mi chiedo: saranno tutti turisti giunti in pellegrinaggio per la causa grillina? Sarà che pure in provincia, dove pensavo di conoscere tutti, in realtà vivo in una bolla dove non conosco nessuno? Sarà la famosa “maggioranza silenziosa” che esce a galla invocando il miracolo dell’onestà?
L’onestà che procura lo stesso piacere dei santi negli affreschi delle chiese è però un problema. Cozza con la concretezza della convivenza, l’onestà. Pure il sindaco di Napoli De Magistris, accorso a Gaeta una settimana fa per comiziare con un altro candidato civico in favore dell’onestà e della legalità, al ritorno si è trovato sul parabrezza la multa per sosta vietata, e subito qualcuno ha evocato il complotto dei vigili urbani. Chissà se pure a Gaeta eleggessero un sindaco capofila degli “onesti” se poi non finirebbe come in quel film recente di Ficarra e Picone, “L’ora legale”, dove i paesani contenti di aver eletto un primo cittadino davvero perbene poi si rivoltano quando questo si mette davvero in testa di far rispettare tutte le regole. Fare la fila, fermarsi al semaforo, non parcheggiare in sosta vietata, rispettare i regolamenti, fare la raccolta differenziata, procedere alla demolizione di una casa abusiva e non reclamare favori, le cose tutte ovvie che però applicate sul serio provocano la rivolta di quella stessa folla di onesti che tanto aveva reclamato. L’onestà che dà il piacere dei santi sugli altari messa alla prova procura ben più di un guaio. La vecchia politica che crea il consenso ad arte, invece, e sempre per le vie storte, vecchia e sporca qual è, non genera complicazioni rischiose, garantisce il tanto peggio tanto meglio del fuori regola voluto da tutti, basta solo mettersi in processione dietro al patrono. Pure nella commedia finisce così. Non ci sono santi.