Dal mio libro Catalogo dei gaetani (Ali Ribelli, 2020).
In principio fu la jjhad, la guerra santa. Nell’anno 846 i saraceni dell’emiro Kairewan risalgono il Tevere senza trovare resistenza, arrivano fino a Roma, profanano le basiliche di San Pietro e San Paolo, si fermano sotto le mura aureliane. Ma Roma non cade, sta quasi per cadere ma non cade. La truppa saracena riscende lunga la via Appia seminando terrore e devastazione, a Fondi la popolazione è massacrata e la città incendiata, Montecassino vede la sua prima distruzione. A settembre cominciano ad assediare Gaeta. Dento le mura della civitas resiste l’ipata Costantino, insieme alle reliquie di Sant’Erasmo che proprio per sfuggire alle invasioni saracene pochi anni prima erano state portate dalla vicina Formia. Gaeta aspetta l’inverno, dopo tre mesi per i razziatori è il momento di rientrare alle basi. Anche lei stava per cadere ma non è caduta. Il primo assedio si spegne. Scatta, giocoforza, la tregua.
Ma la minaccia non è finita e nel giro di pochi anni più di qualcuno comincia a pensare: e se con i saraceni convenisse trattare? Nell’anno 868 una seconda spedizione assedia Gaeta, stavolta guidata da un altro carismatico musulmano, l’emiro di Bari Sawdan. L’ipata Docibile che governava Gaeta scende a patti con i saraceni. Il papa Giovanni VIII si precipita da Roma per implorare la rottura della “diabolica alleanza”. Stretta tra pontefici e islamici, tra resistenze e trattative, Gaeta riesce a districarsi abilmente, ora con gli uni ora con gli altri, e conquista il titolo di Ducato. È l’assediato che assedia l’assediante, primo esempio di una specialità storica destinata a durare da queste parti: il “chiagni e fotti”.
Il terzo assedio arriva tre secoli e mezzo dopo. Sulla Gaeta normanna svettano una trentina di torri e il suo primo castello, la città gode di varie autonomie e privilegi e si sente, al pari di Amalfi, repubblica marinara. Federico II dopo averla visitata decide di rafforzarne le difese, i lavori finiranno appena in tempo. Nel 1229 Gaeta è combattuta tra guelfi, agli ordini del Papa, e ghibellini, agli ordini dell’imperatore. Ora vincono gli uni, ora gli altri, e la città si adegua. Alla fine la spunta Federico Barbarossa che, tornato al potere, una vendetta coi gaetani che nel frattempo lo avevano rinnegato se la prende: ordina l’abbattimento di quasi tutte le torri cittadine. Ci penserà Carlo d’Angiò a ripararle, trent’anni dopo, quando Gaeta si consegnerà a lui docilmente, senza combattere.
Nel 1289 i gaetani si sono stufati pure degli angioini e mandano alcuni rappresentanti dal re nemico Giacomo d’Aragona a dirgli che se voleva la fortezza era sua. Ma altri gaetani non la pensano così e s’affrettano a far sapere che quei loro concittadini sono traditori e la fortezza avrebbe combattuto fino alla morte. Scatta il quarto assedio, quello degli aragonesi con truppe messinesi: dura tutta l’estate, la fortezza anche stavolta resiste, Gaeta si guadagna la stima dei sovrani angioini, dimenticandosi di quella scappatella di pochi mesi addietro, e per la prima volta alla città viene dato l’appellativo di “fedelissima”.
Il quinto assedio, quello del 1313, è un assedio senza combattimento. Gli aragonesi guidati dal sovrano Federico si accampano fuori le mura: li manda Enrico VII di Lussemburgo, imperatore del Sacro Romano Impero, il quale però all’improvviso muore avvelenato da un frate in Toscana, così gli aragonesi levano le tende. Nemmeno nel 1387 c’è un assedio vero e proprio, ma Gaeta vive in una condizione di stato d’assedio per la presenza della regina Margherita di Durazzo, erede al trono di Napoli. Al culmine di un intrico di vicende dinastiche degno di Beautiful, pure Gaeta ha il suo royal wedding: protagonisti l’erede al trono Ladislao e la siciliana Costanza Chiaromonte. Che però finiscono peggio di Carlo e Diana: divorzio in Cattedrale nemmeno un anno dopo, con la povera Costanza crudelmente svestita di corona, anello e manto regale ed esiliata in una modesta abitazione privata.
Il settimo assedio, nel 1435, è il derby finale tra angioini e aragonesi. Alfonso d’Aragona vuole prendere Gaeta per fame e per cannonate ma la “fedelissima angioina” gli resiste. Poi, il colpo di scena: Alfonso, sconfitto sul campo, viene mandato prigioniero a Milano ma lì convince il Duca Visconti a liberarlo e si ripresenta vincitore prima a Gaeta e poi a Napoli: nasce il Regno delle Due Sicilie.
All’ottavo assedio, nel 1495, Gaeta è già diventata la “fedelissima aragonese” e combatte strenuamente contro i francesi di Carlo VIII vendicatori degli Angiò, i quali però riescono a sfondare la fortezza: per i gaetani va a finire male, molto male, scannati e depredati. Per riprendersi il suo regno, l’anno dopo, Federico d’Aragona deve riassediare Gaeta e alla fine pagare dodicimila ducati ai francesi per farli sloggiare.
La guerra tra Francia e Spagna per la conquista del Regno di Napoli continua: alle fine di dicembre 1503 il comandante dell’esercito spagnolo Consalvo de Cordova lancia il nono assedio a Gaeta, tenuta da reparti francesi. Gaeta capitola dopo due giorni, la mattina di Capodanno del 1504. Nel 1528 altri francesi sono intorno a Gaeta per mare e per terra, capitanati dal visconte Ottone di Lautrec, ma i gaetani, che i francesi ormai non li possono proprio vedere, respingono l’assedio. Nel 1534 torna la paura dei turchi: il barbuto Khair al-Din, detto Barbarossa, figlio di un cristiano rinnegato, corsaro e ammiraglio, alla testa di ottantadue galee terrorizza le coste tirreniche, assale Sperlonga e Terracina, mette a ferro e fuoco Fondi, dove qualcuno vede la bella nobile Giulia Gonzaga fuggire nuda nel cuore della notte. Ma la tempesta del Barbarossa sfiora soltanto Gaeta: le poderose mura e il massiccio castello gli fanno cambiare strada.
Il dodicesimo assedio è un episodio della guerra dei trent’anni che incendia l’Europa del Seicento. Nel 1640 la flotta francese, comandata da un uomo di fiducia del cardinale Richelieu, pone l’assedio a Gaeta. Ma gli spagnoli della guarnigione resistono, l’assedio viene tolto, la flotta francese va altrove, lungo quell’enorme campo di battaglia che è diventata la penisola italiana.
Nel 1707 ad assediare e conquistare Gaeta sono le truppe austriache comandate dal conte Wirich Philipp von Daun. Nel 1734 si abbatte sulla fortezza il quattordicesimo assedio: dopo due mesi, la sera del 5 agosto, gli austriaci firmano la resa e lo spagnolo don Carlos può dare inizio alla dinastia dei Borbone nel Regno di Napoli. Nel 1799, a Napoli, i francesi proclamano la Repubblica Partenopea e a Gaeta la guarnigione borbonica si arrende senza sparare un colpo. I soldati di Napoleone prendono la fortezza ma a fare l’assedio, da fuori le mura, stavolta è un esercito di briganti e poveracci fedeli al vecchio re, capitanati da tale Michele Pezza da Itri, detto Fra’ Diavolo, e spalleggiati dagli inglesi.
Dopo sei mesi Gaeta capitola. E dopo sei anni i francesi ritornano: la resistenza dell’esercito borbonico evapora ovunque ma non a Gaeta. Il governatore della fortezza, il maresciallo di campo principe Luigi Hess di Philippstaal, riceve l’ordine da Napoli: alzate bandiera bianca, inutile fare resistenza. Ma il principe strappa quel foglio di carta e resiste, resiste ostinato e inutile per cinque mesi, muore in combattimento. Gaeta capitola ma con onore, un onore che costa migliaia di morti, carne da combattimento e da cannone di un’epoca feroce.
Nel 1815 le parti si invertono: a resistere ostinati e contrari alla storia sono i francesi, mentre tutto il Regno è tornato nelle mani di Ferdinando di Borbone: Alessandro Begani, il governatore della piazza di Gaeta circondata da ogni parte, tiene duro per quattro mesi, senza speranza, solo per onore. Eccolo il fascino della sconfitta, l’orgoglio del perdente: si deposita sulle nostre teste come polvere di un passato sempre rimpianto e di un futuro sempre temuto, non andrà via mai più.
Chissà se i nuovi vincitori, rialzando la loro bandiera, immaginavano che la ruota della storia avrebbe girato ancora. Il diciottesimo assedio è quello del 1860-61, i piemontesi stanno facendo l’Italia unita, il re e i soldati borbonici, asserragliati tra le mura di Gaeta, sono gli ultimi ad arrendersi. Niente dimostrazioni di gioia, niente tripudi del vincitore, dirà ai soldati il generale di Casa Savoia Enrico Cialdini: «Noi combattemmo contro italiani, e fu questo necessario ma doloroso ufficio».
Il diciannovesimo e ultimo assedio, secondo alcuni storici, è quello che Gaeta visse durante la Seconda guerra mondiale, nei mesi che separano l’armistizio dell’8 settembre 1943 e la liberazione del 19 maggio 1944, tra la feroce occupazione tedesca e la pioggia di bombe degli alleati americani. Venne, per molti anni, la pace, e forse ci aveva giusto Roberto Vecchioni quando cantava «I nostri figli andranno per il mondo, e non verranno i piemontesi ad assalire Gaeta, con le loro Land Rover e le loro Toyota».
