La Scarzuola dell’architetto alchimista Tomaso Buzzi a Montegabbione in provincia di Terni e la risata mefistofelica e surrealista del nipote Marco Solari, magnifico e lucidissimo pazzo che sembra uscito da un romanzo che non esiste più, mentre la racconta agitando fogli disegnati fitti fitti davanti a comitive di turisti che agognerebbero solo un selfie in santa pace tra le scale, i colonnati, le siepi, le statue e i mostri purché non invisibili o interiori. E attorno, la città impossibile che Buzzi ha lasciato come un appunto gigantesco, un promemoria per il futuro su come si possa costruire non per durare, ma per dissolversi lentamente, come certi sogni che al mattino non si ricordano bene ma restano addosso per ore.
Qui tutto deriva da qualcos’altro: un convento medievale che custodiva la memoria di san Francesco, una leggenda che parla di giunchi intrecciati e di una fonte sgorgata all’improvviso, e poi sette secoli di silenzio fino a quando Buzzi, architetto celebre e mondano del Novecento, decide di venire qui a essere altro. O forse a essere sé stesso per la prima volta. Voleva, non era il primo, costruire una città ideale. Di più: una città esoterica. Di più: una “macchina” – diceva proprio così – capace di cambiare l’umanità. Oppure, in fondo, è questo soltanto un teatro privato? Scale che non portano da nessuna parte, architetture prese da epoche diverse come figurine incollate su un album impossibile, prospettive che cambiano appena fai un passo, sette teatri in fila come se la vita fosse davvero una serie infinita di sipari che si aprono e si chiudono. Tutto in tufo, materiale fragile, nato per sgretolarsi. Una città costruita per autodistruggersi, ma che invece sopravvive, come certe idee che rifiutano di sparire. In cima, l’Acropoli appare come una montagna di edifici impilati, archetipi vuoti con decine di scomparti come un termitaio metafisico. Una finestra che dà su un’altra finestra che dà su un’altra finestra ancora, come in un gioco combinatorio che non finisce mai. Non si sa se siano scale vere o pensieri costruiti, rovine o anticipazioni, crollando o crescendo.
Questo luogo, come il suo nipote, dice cose che sembrano sentenze e poi le smonta subito con una scrollata di spalle. Ci ha detto che i giardini sono notturni come l’io. L’ego invece è diurno e diabolico, perché crea separazione. Gli adulti, ha detto, sono diabolici e devono cercare l’unione, la notte. Ma questi, ha concluso, son solo discorsi di giardini.
